Esiste la vita online dopo la morte?
- Antonio
- 3 mar 2019
- Tempo di lettura: 7 min
Mi sono seriamente reso conto di star invecchiando quando facendo la solita cernita di primavera su Facebook - tra fake di donne avvenenti, filippini dai nomi improbabili e vecchie fiamme ormai estinte - mi sono ahimè imbattuto nei profili di amici, parenti e colleghi che per necessità o contingenza non ci sono più. Di cosa accada all'anima o alla coscienza - purché esistano - dopo la morte poco importa: siete sul blog di un epicureo. Ma i nostri affetti virtuali? Cosa ne sarà dei profili social? Si può eternare la propria persona nel digitale?

Vivere e ibridarsi nell'infosfera
Nel mentre Google tiene una mappa dei nostri spostamenti inferendo in base a frequenza e distanza casa e luogo di lavoro, un agente cerca di carpire la semantica dei nostri discorsi col gatto e di cosa mugugniamo avanti all'ennesima sconfitta dell'Inter per poi proporci, tra le pubblicità, un completino nerazzurro per l'amato felino. Altri agenti, incrociando il nostro orario di lavoro con l'orario di apertura del nostro sushi-bar preferito, dispongono al meglio delle possibilità i tipi di appuntamento da proporre al nostro amante, facendo addirittura attenzione a evitare sovrapposizioni col partner effettivo. Altri agenti, presenti nello smartphone, nell'iPad, nel PC, ricordano per noi numeri di telefono, compleanni, rapporti. Nel mentre generiamo questa tempesta di informazioni un obiettivo, costantemente puntato su di noi, riprende ogni singolo momento della nostra vita: quando piangiamo, quando ci masturbiamo, quando mangiamo: perché si, queste cose le facciamo col nostro smartphone sempre puntato frontalmente. John Glover Roberts Junior, giurista e avvocato statunitense, attuale Giudice Capo della Corte Suprema degli Stati Uniti in una sentenza del 2014 ha scritto infatti che i nostri device:
«sono una parte così pervasiva e fondamentale della nostra vita quotidiana che il famoso visitatore dallo spazio potrebbe concludere che si tratti di una parte dell’anatomia umana»
E già i filosofi della mente Andy Clark e David Chalmers in The extendend mind (1998), presentando la loro teoria computazionale della mente, avevano intuito che gli strumenti con cui pensiamo influenzano come e cosa pensiamo, divenendone parte. Non è trans-umanesimo questo, è ormai realtà.
Produciamo continuamente dati, dati che finiscono online e di cui si cibano i nostri profili social che diventano man mano più precisi nella descrizione della nostra persona. Viviamo nella cosiddetta infosfera e cioè "lo spazio semantico costituito dalla totalità dei documenti, degli agenti e delle loro operazioni". Così definisce lo spazio entro cui ci muoviamo Luciano Floridi, massimo esperto europeo di filosofia dell'informazione ordinario ad Oxford (che un tempo insegnava logica e filosofia della scienza a Bari, sigh). Siamo esseri umani in un epoca iper-connessa. Viviamo, più che online, "onlife" - sempre secondo Floridi - con le nostre esistenze perpetuamente interconnesse e protratte a generare e scambiare dati.

Morire nell'infosfera
Cosa succede quando moriamo in un'epoca iper-connessa? Cosa accade ai nostri dati?
Stando alla policy di Faceboook è possibile decidere in maniera preventiva il destino del proprio account dopo la morte. Si tratta di una sorta di testamento virtuale che si può redarre in prima persona o designando un "profilo erede"; è possibile scegliere fra la rimozione dell'account (e di tutti i dati generati) e la trasformazione del proprio profilo in un profilo commemorativo. Il secondo caso è decisamente affascinante. Il profilo resterà dove è sempre stato, dunque con gli stessi stati, gli stessi post, le stesse foto e una sola eccezione: la comparsa di un'etichetta "in memoria". L'account inoltre "permetterà ad amici e famiglia di raccogliere e condividere ricordi della persona deceduta". Nel caso non si fosse abbastanza fortunati da poter decidere anticipatamente della propria morte online è possibile segnalare un profilo di un defunto terzo ed esistono delle linee guida ufficiali che permettono ciò. Sempre secondo Facebook:
I profili commemorativi non vengono visualizzati in spazi pubblici come i suggerimenti delle Persone che potresti conoscere, le inserzioni o i promemoria dei compleanni;
Nessuno può accedere a un account commemorativo;
Non è possibile apportare modifiche agli account commemorativi per cui non è stato indicato un contatto erede.
Ad essere interessante è il secondo punto. Facebook tutela la privacy degli account anche dopo la morte fisica per preservare l'integrità delle informazioni raccolte (sebbene spesse volte a tutelare la privacy non ci riescano manco in vita ma ok, apprezziamo l'impegno). L'account erede, benché designato, non potrà in alcun modo accedere a messaggi e contenuti personali del defunto ma solo gestire le pratiche post-mortem.
Immaginate ora che vostro figlio si sia suicidato e che tentiate, per amore, di scoprirne la ragione: è stato lasciato dalla ragazza? L'Inter ha perso 2 a 1 col Cagliari? Ha preso un brutto voto in grammatica latina? Non lo saprete mai. Ma l'amore non è questione di stato. Immaginate invece che un criminale entri in una chiesa e uccida 26 persone per poi morire nella fuga, immaginate di svolgere delle indagini e immaginate ora di avere la brillante idea di passare il dito del cadavere sul lettore di impronte digitali del proprio smartphone per ottenere quante più informazioni possibili. Bene, ora smettete di immaginare: quanto detto è avvenuto davvero in Texas nel 2017. È da ritenersi giusto penetrare nell'aldilà digitale di una persona? Quanto il cimitero di ricordi digitale di una persona è intimamente connesso con la persona stessa?
Da un punto di vista legale la privacy termina con la persona e l'FBI non ha violato alcuna legge entrando nello smartphone dell'assalitore ma da un punto di vista etico? Al solito lo scontro è fra il sistema valoriale ed etico delle singole multinazionali (Facebook, Apple, chi per loro), lo stato, la legge, la tutela dei cittadini e il senso etico di un popolo. Ci sentiremmo istintivamente di propendere verso la posizione di Facebook che sembra infatti essere onesta fino a quando però i dati tutelati non ledano la sicurezza e la libertà altrui. Sono allineati ad esempio sulla stessa posizione di Facebook anche Instagram (che dal 2012 è di proprietà di Facebook) e Twitter. Nel caso infatti non sia stato designato un contatto erede basterà segnalare il profilo del defunto esibendo un necrologio, un certificato di morte o addirittura un articolo di giornale per farne validare la rimozione. Diversamente Snapchat e Tumblr non dispongono di una sezione dedicata al post-mortem.
Il cimitero più grande del mondo

Wādī al-Salām è il più grande cimitero al mondo. Situato in Iraq, Wādī al-Salām si estende per 6 km² (1485.5 acri) e in 14 secoli di Islam ha contenuto più di 5 milioni di corpi. Tuttavia la cosiddetta Valle della Pace è solo il più grande cimitero del mondo fisico. È Facebook infatti il più grande cimitero esistente. Secondo le stime di Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica presso l'Università degli Studi di Milano, su Facebook muoiono 240.000 profili (e dunque persone) l'anno con una media che oscilla fra i 600 e i 700 account al giorno. Secondo invece Hachem Sadikki, dottorando all’Università del Massachusetts, entro il 2098 Facebook addirittura conterà più morti che vivi divenendo la più grande necropoli della storia.
Da un punto di vista antropologico l'uomo ha da sempre convissuto con l'idea di morte poiché connaturata e co-essenziale rispetto all'esistenza. Le prime tribù cominciano a stanziarsi raccogliendosi attorno al culto dei morti, al rituale, all'esorcismo nei confronti del "perturbante" e dunque di quello che Freud chiamava Das Unheimliche. La cultura medievale è addirittura dominata dall'idea di morte incombente, tutto vi è finalizzato e la religione declassa la vita terrena ad un rapporto ancillare rispetto alla vita dopo la morte. Basti pensare che è solo in tarda età moderna, nel 1804, con l'Editto di Saint Cloud, che Napoleone allontana dalle mura cittadina le sepolture e i cimiteri, anche e soprattutto per ragioni di igiene pubblica. L'allontanamento della morte dalla vita qualificata non è solo fisico ma anche culturale. L'intera contemporaneità, assoggettata all'egemonia della biopolitica, ha estromesso l'idea di morte non esorcizzandola ma sacrificandola sull'altare capitalista della produttività e della salute ad ogni costo. Il culto del corpo, dell'estetica, della performance, declinato attraverso la medicalizzazione e l'ospedalizzazione del quotidiano, dell'umano, dell'animale ha allontanato l'uomo dall'idea di morte percepita ormai come estranea. Eppure la morte è fondamentale, fa parte della esistenza intesa come ζωή (zoé) e cioè come vita a livello biologico: se non si morisse non si potrebbe vivere. La contemporaneità ha appiattito, facendolo collassare, il piano della zoé sul piano della βίος (bios) e cioè della vita qualificata, a livello politico, sociale, contemplativo e quindi del modo in cui viviamo. Se non si vive situati socialmente, economicamente, culturalmente non si vive, eppure la vita è anche altro, eccede, vi è una irriducibile dimensione biologica, istintiva. Non si può ignorare l'idea di morte, non si può fingere che non esista allontanandola con la palestra, gli ospedali, il cibo biologico: è impossibile scordare che siamo biologicamente situati e determinati e che la morte paradossalmente sia parte della nostra vita. Ma la polvere che è stata messa sotto il tappeto della contemporaneità sta venendo fuori ed è paradossale come, a scapito dell'Editto di Saint Cloud, i morti stiano tornando in città. Perché l'infosfera è lo spazio che abitiamo e lo spazio informazionale che abitiamo è pieno di defunti che vivono come dati, eternati nel digitale, e che lo rendono al contempo il più grande cimitero al mondo. Il fatto che i nostri dati vivano per sempre nel cloud non vuol dire che noi pure viviamo per sempre o che siamo immortali: è un'illusione. La realtà è assai lontana (e solo in questi casi) da Black Mirror e da episodi come Be Right Back (Torna da me), della seconda stagione o lo splendido San Junipero. Risulta inverosimile immaginare, dopo la morte sempre, di creare un'Intelligenza Artificiale che replichi la propria persona e che lo faccia basandosi sulle informazioni generate in vita sicché si comporti esattamente come noi: sarebbe tanto possibile tecnicamente quanto ridicolo. When he dies he dies: la morte esiste e dobbiamo tornare a conviverci con l'idea. E non bisogna avere paura, siete sul blog di un epicureo.
Ho visto cose che voi umani...

Avete presente la scena finale di Blade Runner? L'androide, anzi il replicante, interpretato da Rutger Oelsen Hauer prima di morire pronuncia le storiche parole:
«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire».
Ebbene ad oggi non è cambiato nulla rispetto al distopico futuro pensato da Ridley Scott negli anni '80: quando è tempo di morire è tempo di morire. L'unica differenza sta nel fatto che con le tecnologie di cui disponiamo tutti quei momenti non andranno più perduti nel tempo "come lacrime nella pioggia" ma finiranno nello storage di qualche piattaforma cloud e questo, a differenza nostra, per sempre.
Fonti, approfondimenti, roba per gente annoiata:
[1] I nostri device come estensioni di noi stessi: https://thevision.com/innovazione/smartphone-tutela-mente/;
[2] Linee guida ufficiali sugli account commemorativi: https://www.facebook.com/help/150486848354038?helpref=faq_content;
[3] La strage in chiesa (Texas): https://www.webnews.it/2018/04/23/etico-sbloccare-smartphone-dito-morto/;
[4] Facebook contro la corte: https://www.privacyitalia.eu/facebook-genitori-possono-accedere-a-profilo-di-figli-deceduti-come-gestire-un-account-post-mortem/8315/;
[5] Il caso Borgoni e il cimitero più grande della storia: https://www.agi.it/innovazione/luca_borgoni_facebook_cimitero-3377639/news/2018-01-16;
Letture consigliate: Il libro digitale dei morti. Memoria, lutto, eternità e oblio nell'era dei social network di Giovanni Ziccardi.
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